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L’accordo dello scorso anno, che ha promesso gli 85 euro di aumenti medi mensili ai dipendenti pubblici, arriva ad avere un costo totale di 5 miliardi.

I tempi sono sempre più stretti, è ormai dal 2010 che è necessario risolvere il problema che affligge i dipendenti pubblici, anche perché inizialmente bisognava definire le regole per l’attuazione della riforma Madia, ma ad oggi non si riesce ancora a prendere una decisone definitiva.

Ora tocca alla nuova Legge di Bilancio completare il quadro, la manovra 2016 ha messo sul tavolo 300 milioni simbolici, quella del 2017 ha aggiunto 900 milioni. I tecnici sono a lavoro per cercare 1,7 miliardi da aggiungere per evitare che gli aumenti eliminino il bonus da 80 euro. I numeri portano ad uno stanziamento di 2,9 miliardi di euro, che copre però solo i contratti della pubblica amministrazione da Palazzo Chigi ai ministeri, il reparto scuola ed enti come Inps o Arci. Agli altri reparti come Sanità, Regioni e Province devono pensarci i bilanci autonomi dei loro datori di lavoro.

Le cifre indicano alla fine un costo annuale di circa 1.500 euro a dipendente, ovvero 1.105 euro lordi l’anno se si spalmano 85 euro in 13 mensilità, a cui vanno chiaramente aggiunti gli oneri riflessi del 38,4% di contributi previdenziali e buonuscite. I costi per la finanzia pubblica arrivano intorno ai 5,4 miliardi l’anno, ovvero la cifra risparmiata fra il 2011 e 2016 con il blocco dei contratti.

Va trovato quindi un equilibrio, in quanto i lunghi anni di blocco arrivano a complicare i meccanismi di ripresa.

Alessandro Sartoretto

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