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- Al sicuro da un veto europeo grazie alla sentenza della Corte Costituzionale, gli statali potrebbero finalmente avere pronta dietro l’angolo una vittoria.
- Alessandro Sartoretto
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Al sicuro da un veto europeo grazie alla sentenza della Corte Costituzionale, gli statali potrebbero finalmente avere pronta dietro l’angolo una vittoria.
Ormai sappiamo bene che il rinnovo dei contratti è fermo al 2010 e i 300 milioni stanziati dalla legge di Stabilità non bastano a coprire quanto necessario.
I sindacati, da parte loro, hanno chiesto 7 miliardi in 3 anni, ma il governo non li metterà su tavolo: sarà invece una “via di mezzo” tra le due proposte la soluzione, confermata anche dal viceministro all’Economia Enrico Morando. Si potrebbe pensare che con il termine “via di mezzo” si intenda il minimo indispensabile per coprire l’inflazione, ma, oltre ogni aspettativa anche dei sindacati, la cifra di cui si parla da pochissimi giorni è di 2,5 miliardi di euro.
Basterebbero circa 1,2 miliardi per recuperare l’inflazione che nel 2015 e nel 2016 è stata molto bassa e l’indice è stato rispettivamente di 0,7 e 0,5%; la previsione di crescita per il 2017 è dell’1%. Da recuperare quindi in totale il 2,2%, che porterà nelle buste paga dei lavoratori pubblici pochi euro al mese e con un costo totale di poco più di un miliardo (calcolato da il Sole 24 Ore). Se le voci di una cifra di 2,5 miliardi saranno confermate, significa che l’intenzione del governo è quella di dare più importanza agli aumenti.
Qualcuno a Palazzo Chigi aveva pensato ad una misura come gli 80 euro in busta paga di Renzi, ma la sentenza della Consulta esclude questo tipo di soluzioni: i contratti dovranno essere rinnovati e la base economica dovrà essere fornita dalla legge di Stabilità.
Il governo, quindi, è predisposto ai compromessi sul pubblico impiego e si capisce anche dal fatto che la riforma meritrocratica del ministro Marianna Madia (che arriverà giovedì al consiglio dei ministri) sarà fatta salvando alcuni manager pubblici: oltre ai magistrati e i professori universitari, anche altri, come i dirigenti con più anzianità di servizio. Inoltre una clausola di salvaguardia per evitare l’introduzione del ruolo unico, gli incarichi a tempo (massimo quattro anni), tagli dello stipendio e licenziamento per quei dirigenti che rimangono «disoccupati» troppo a lungo.
Nelle bozze, i dirigenti generali di prima fascia con più anni di servizio alle spalle, avranno la precedenza nel rinnovo degli incarichi. Nella riforma però esiste anche un meccanismo per misurare le performance dei dirigenti. Parte delle retribuzioni dei manager pubblici dovrebbe già essere attribuite sulla base della valutazione.
Alessandro Sartoretto
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